NEW YORK - «Un vero eroe americano». Così è stato definito Neil Armstrong, timido e tranquillo ingegnere dell'Ohio destinato a diventare un eroe globale: il primo uomo a posare piede sulla Luna, nell'ormai lontano 20 luglio 1969. Oggi Armstrong ha lasciato questa Terra, quella che commosso riuscì a contemplare dalla superficie lunare. Si è spento ad 82 anni per complicazioni cardiovascolari, in seguito ad una delicatissima operazione al cuore subita all'inizio di agosto. La costernazione per la scomparsa del primo 'moonwalker' della storia coinvolge ogni angolo del mondo. Insieme a Edwin 'Buzz' Aldrin e Michael Collins quel giorno di 43 anni fa emozionò un'intera generazione. E le sue prime parole, appena toccato il suolo lunare, sono rimaste impresse nella memoria e nei libri di storia: «That's one small step for [a] man, one giant leap for mankind», un piccolo passo per un uomo, un balzo da gigante per l'umanità. Si coronava il sogno del presidente americano John Fitzgerald Kennedy a cui, in piena guerra fredda, l'Unione Sovietica aveva lanciato il guanto di sfida anche sul fronte della corsa allo spazio, lanciando in orbita nel 1957 il satellite Sputnik. Ora l'America aveva vinto. Il simbolo di questa vittoria era proprio Armstrong che, in quelle ore passate sulla Luna, insieme ad Aldrin raccolse reperti, scattò fotografie, fece esperimenti, gettando le basi per la futura esplorazione dello spazio.
GLI ALTRI Dopo di loro altri dieci astronauti americani lasciarono le loro impronte sulla luna tra il 1969 e il 1972. Armstrong mostrò anche un enorme coraggio, lui che alcuni amici di infanzia ricordano come un giovane un pò 'nerdy', imbranato: quando il computer del modulo lunare Eagle in fase di atterraggio fece le bizze, prese i comandi manuali e si rese protagonista di un atterraggio mozzafiato: «Houston, qui Base della Tranquillità. L'Aquila è atterrata», disse alla fine della spericolata ma decisiva manovra, facendo tirare a tutti un sospiro di sollievo. Anche ai milioni di telespettatori che in tutto il mondo seguirono - in bianco e nero - l'evento. Forse il primo grande evento mediatico globale della storia della televisione. Armstrong, nato in Ohio da genitori di origine tedesca, è rimasto schivo e poco avvezzo alle luci della ribalta anche dopo essere andato in pensione. Ha continuato a insegnare all'università e le sue apparizioni negli anni sono state sporadiche. Solo nel 2010 fece parlare di sè per essere per la prima volta intervenuto nel dibattito politico, criticando la politica spaziale dell'amministrazione Obama che, in tempi di crisi economica, aveva secondo lui indebolito il ruolo della Nasa promuovendo la corsa allo spazio da parte delle compagnie private. I problemi al cuore lo avevano costretto ai primi di agosto ad un delicatissimo intervento per installare un bypass. Sembrava tutto fosse andato per il verso giusto, come la stessa moglie Carol aveva confermato. «Lo spirito pioneristico di Neil gli è stato utile in questo momento difficile», erano state le parole del numero uno della Nasa, Charles Bolden. Ma stavolta Neil non ce l'ha fatta. E ora l'America piange il suo eroe.
L'IMPRESA DI 43 ANNI FA «Se la missione chiamata Apollo 11 avrà successo, l'uomo realizzerà il sogno, inseguito a lungo, di camminare su un altro corpo celeste»: 43 anni fa, era questa la promessa della prima missione spaziale che avrebbe portato l'uomo sulla Luna. Così la Nasa l'aveva presentata ai giornalisti arrivati a Cape Canaveral (Florida) per seguire il lancio del Saturno V che portava nello spazio il comandante della missione Apollo 11, Neil Armstrong, il pilota del modulo di comando Michael Collins e il pilota del modulo lunare, Edwin Aldrin, più noto come Buzz. Armstrong e Aldrin erano gli astronauti destinati a camminare sulla Luna. Con i suoi 110 metri di altezza, un diametro di dieci metri e pesante oltre 2.000 tonnellate, il Saturno V era un gigante silenzioso sulla rampa di lancio 39A del Kennedy Space Center; la navetta Apollo con i tre uomini era rannicchiata sulla sommità. Era il simbolo di un'America decisa ad accaparrarsi il primato più importante della sua più che decennale corsa allo spazio contro l'Unione Sovietica. Nel 1957 l'Urss aveva stupito il mondo con il «bip» del primo satellite artificiale, lo Sputnik, l'anno successivo aveva spedito il primo essere vivente nello spazio, con la cagnetta Laika a bordo dello Sputnik 2. Ed erano sovietiche anche le sonde Luna lanciate a partire dal 1959 per studiare la superficie della Luna e il suo lato nascosto. Il Saturno V, con la navetta Apollo e il suo equipaggio, vennero lanciati in perfetto orario mercoledì 16 luglio 1969 e arrivarono nell'orbita lunare sabato 19 luglio. Domenica 20, mentre Collins restava sul modulo di comando, chiamato Columbia, Armstrong e Aldrin entravano nel modulo lunare, chiamato Aquila. Alla 13/ma orbita lunare i due moduli si separarono e Aquila accese i motori per cominciare la discesa. In tutto il mondo oltre 500 milioni di persone seguivano dalle tv ogni fase della missione col fiato sospeso. Mentre il modulo Aquila sorvolava la zona rocciosa del Mare della Tranquillità, Armstrong decise di passare ai comandi manuali e alle 22,17 (ora italiana) comunicò al centro di controllo: «Aquila è atterrata». Poi il comandante rinunciò alle quattro ore di riposo previste, aprì il portello e scese dalla scaletta. Arrivato all'ultimo gradino disse: «È un piccolo passo per un uomo, un balzo da gigante per l'umanita». A distanza di 18 minuti scese Aldrin. «Quell'esperienza è stata così breve e abbiamo lavorato a un ritmo così serrato che quasi tutti i miei ricordi li devo alle foto e ai video», dirà Aldrin a distanza di molti anni da quell'esperienza unica. Nelle due ore e mezza trascorse sulla Luna i due astronauti lavorarono per raccogliere 22 chilogrammi di rocce lunari, ma sono indimenticabili le immagini delle prove che i due, protetti dalle immense tute bianche e dai caschi, facevano per scoprire l'andatura ideale per spostarsi sul suolo lunare: piccoli passi, brevi corse, saltelli. Poi alzarono la bandiera americana, tenuta dispiegata da un'asta orizzontale, e lasciarono sul suolo lunare la targa con le tre firme dell'equipaggio e quella dell'allora presidente Richard Nixon: «Qui nel luglio 1969 misero per la prima volta piede sulla Luna uomini venuti dal pianeta Terra, siamo venuti in pace per l'intera umanita».
IL PROFILO Neil Armstrong, il comandante dell'Apollo 11, l'uomo che il 20 luglio del 1969 lasciò la prima impronta sulla Luna pronunciando la celebre frase «un piccolo passo per un uomo, un balzo gigantesco per l'umanità», era nato in un piccolo paese dell'Ohio, Wapakoneta, nel 1930. La sua passione per l'aviazione era iniziata con un volo in aereo a soli sei anni, e quando nel 1950 scoppiò la guerra in Corea, il giovane Neil abbandon• gli studi all'università per diventare un pilota di marina, terminando quel conflitto con ben 72 missioni al suo attivo. Dopo la guerra si specializzò nei test di nuovi aerei, come l'affusolatissimo X-15, che portò a 38 miglia di altezza, quasi nello spazio. Armstrong entrò quindi a far parte del primo gruppo di astronauti civili in forza alla Nato: il primo volo, sulla Gemini 8 nel 1966, fu un mezzo disastro. Solo la freddezza di Armstrong evitò che la navicella - un guasto a un propulsore iniziò a farla roteare a grande rapidità - evitò la tragedia. Il comandante usò un sistema di riserva e la riportò sotto controllo, atterrando nel Pacifico. La missione per la Luna dell'Apollo 11 fu lanciata il 16 luglio 1969. Neil aveva 38 anni, e con lui volarono nella storica impresa Buzz Aldrin e Mike Collins. All'atterraggio, Armstrong disse un'altra frase entrata nella leggenda: «Houston, qui Base Tranquillità. L'Aquila è atterrata». Dopo il trionfale allunaggio e il ritorno a terra, che coronarono il programma spaziale Usa lanciato da John F. Kennedy, Armstrong spar di fatto dalla vita pubblica. Lasciò la Nasa e andò ad insegnare ingegneria all'Università di Cincinnati; più tardi avrebbe fatto parte di consigli di amministrazione di varie aziende aerospaziali. Armstrong ricomparve in pubblico per il 30.mo anniversario dell'impresa dell'Apollo 11, quindi per il quarantennale, in occasione del quale lui, Aldrin e Collins furono ricevuti dal presidente Barack Obama. Lo scorso novembre era stato insignito, insieme ai compagni, della Medaglia d'oro del Congresso, la più alta onorificenza civile statunitense. All'inizio del mese si era sottoposto a un intervento di angioplastica per liberare una coronaria occlusa, e il decorso era apparso buono. Della conquista della Luna disse: «La cosa più importante della missione Apollo fu dimostrare che l'umanità non è incatenata per sempre a un solo pianeta, e che le nostre visioni possono superare quel confine, e che le nostre opportunità solo illimitate».